Il tema del diritto al riconoscimento di ferie e permessi nell’arco di tempo compreso tra il licenziamento (poi dichiarato illegittimo in sede giudiziale) e la successiva reintegrazione del dipendente è stato recentemente trattato da una sentenza della Corte di Cassazione in data 08.03.2021 (n. 6319/2021), pronunciata a seguito di una lunga e complessa vicenda processuale che ha visto anche l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Questo l’interrogativo sotteso alla lite: il lavoratore licenziato e successivamente reintegrato nel posto di lavoro, ha diritto all'indennità sostitutiva delle ferie, delle festività e dei permessi, maturati e non goduti nell'arco temporale tra il licenziamento illegittimo e la reintegrazione stessa?
La controversia oggetto della presente analisi e la conseguente decisione della Corte di Cassazione trovano origine in un complesso iter processuale che vede coinvolti numerosi organi giurisdizionali, anche a livello europeo.
La vicenda in esame vede coinvolta, da un lato, una lavoratrice licenziata nell’anno 2002 all’esito di una procedura di mobilità e dall’altro, l’Azienda datrice di lavoro che ha comminato alla dipendente in due battute due differenti licenziamenti.
Dopo una prima declaratoria di illegittimità dei due atti di recesso datoriale, la lavoratrice veniva nuovamente riammessa in servizio nell’anno 2008, ma tale rapporto veniva interrotto una seconda volta da parte dell’Azienda, in forma di un ulteriore recesso datoriale comminato alla dipendente nell’anno 2010.
Nelle more degli eventi sopra menzionati, la dipendente presentava ricorso per decreto ingiuntivo avanti il Tribunale di Roma, integralmente accolto, mediante il quale veniva ingiunto all’Azienda datrice di lavoro il pagamento della somma di euro 3.521,00 oltre accessori, quale importo dovuto a titolo di ferie e permessi per festività soppresse maturate e non godute per l’anno 2003.
A seguito di opposizione da parte dell’Azienda datrice di lavoro, quest’ultima veniva condannata al pagamento della somma lorda di € 3.784,82=, limitatamente al periodo antecedente la data di irrogazione del secondo licenziamento.
La lavoratrice proponeva dunque un ulteriore ricorso per decreto ingiuntivo, accolto da parte del Tribunale di Roma, mediante il quale l’Azienda veniva condannata al pagamento degli importi dovuti per festività soppresse maturate e non godute per l’anno 2004, ma tale decreto ingiuntivo veniva successivamente revocato da parte del medesimo Tribunale a seguito di opposizione presentata dall’Azienda datrice di lavoro.
La lavoratrice proponeva dunque appello avverso le predette sentenze e la Corte d’Appello di Roma, dopo aver riunito i gravami in un unico giudizio, rigettava le impugnazioni proposte da parte della dipendente.
In particolare, secondo il Giudice d’Appello, l’indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi, che in ipotesi di licenziamento illegittimo sarebbero maturate nel periodo compreso tra il licenziamento e la reintegrazione, non spettavano alla dipendente, perché erano legate necessariamente al mancato riposo, che in quello specifico caso, non era ravvisabile poiché la dipendente di fatto non aveva lavorato.
All’esito della discussione del giudizio in pubblica udienza, la Corte di Cassazione rilevava la necessità di risolvere un dubbio interpretativo posto alla luce sia della normativa che della Giurisprudenza dell’Unione Europea e, previa sospensione del processo, rimetteva la decisione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
La Corte di Lussemburgo, con sentenza depositata in data 25.06.2020, in relazione ai quesiti posti dalla Corte di Cassazione, ha statuito che l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE deve essere interpretato come ostativo e dunque contrario ad una giurisprudenza nazionale che privi il lavoratore del diritto a vedersi riconosciute le ferie annuali retribuite per il periodo compreso tra la data del licenziamento e la data della sua reintegrazione nel posto di lavoro.
E tale statuizione trova il suo fondamento anche in quanto affermato nella Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea, il cui art. 31, punto 2, prevede che: “Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro e a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite” e più in generale nei principi di intangibilità e inviolabilità del diritto alle ferie sanciti appunto a livello europeo.
La Corte di Cassazione ha quindi ritenuto di attribuire alla dipendente il diritto al riconoscimento dell’indennità sostitutiva delle ferie, dei permessi e delle festività non godute a causa del licenziamento, successivamente dichiarato illegittimo, nel periodo compreso tra il recesso datoriale e la reintegrazione.
Nel recepire positivamente l’interpretazione della Corte di Giustizia, la Corte di legittimità ha dunque ricordato che il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere interpretato in senso restrittivo ed il diritto ad un’indennità economica, come previsto dalla direttiva 2003/88, non è sottoposto ad alcuna condizione diversa da quella relativa ai seguenti fattori:
- alla cessazione del rapporto di lavoro;
- al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui detto rapporto è cessato.
In altri termini, in talune situazioni specifiche, nelle quali il lavoratore non è in grado di adempiere alle proprie funzioni, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere subordinato da uno Stato membro all’obbligo di aver effettivamente lavorato.
Accogliendo parzialmente il ricorso promosso dalla lavoratrice, la Corte di Cassazione con la sentenza in esame, ha pertanto affermato che: “Il lavoratore che, dopo essere stato illegittimamente licenziato, sia stato reintegrato nel posto di lavoro a seguito dell'annullamento giudiziale del recesso, ha diritto all'indennità sostitutiva delle ferie, delle festività e dei permessi, maturati e non goduti nell'arco temporale tra il licenziamento e la reintegrazione, poiché, pur in assenza di lavoro effettivo, tale situazione deve essere equiparata secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 25 giugno 2020 (cause riunite C-762/18 e C-37/19) a quella della sopravvenuta inabilità al lavoro per malattia, trattandosi in entrambi i casi di impossibilità di esecuzione della prestazione per cause imprevedibili e indipendenti dalla volontà del lavoratore.”
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