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Che cosa si intende per welfare aziendale

È il complesso delle iniziative di natura volontaria o obbligatoria coltivate dall’Azienda e che hanno come obiettivo principale quello di migliorare la qualità di vita del lavoratore e della sua famiglia. 

L’Agenzia delle Entrate ne ha fornito una sua definizione ben precisa, qualificandolo come l’insieme di benefici e prestazioni erogato ai dipendenti con lo scopo di integrare la componente meramente monetaria della retribuzione, sia come strumento di sostegno al reddito sia come mezzo per ottenere il miglioramento della vita privata e lavorativa del lavoratore stesso.

I soggetti beneficiari del welfare aziendale

Per l’individuazione delle categorie di soggetti beneficiari del welfare aziendale, occorre fare preliminarmente una puntualizzazione.

Affinchè possa usufruire del regime di esclusione, parziale o totale, dal reddito di lavoro dipendente, il welfare aziendale, nella nozione sopra richiamata, deve essere indirizzato alla totalità dei dipendenti o, quanto meno, a categorie omogenee di lavoratori. 

Attraverso la circolare n. 5/2018 l’Agenzia delle Entrate ha dato indicazioni interpretative rispetto a questa nozione, proprio perchè dalla corretta individuazione di essa, dipende la possibilità che i beni, le somme e i valori in questione siano oggetto di detassazione. 

L’Istituto ha testualmente puntualizzato che “con le predette locuzioni il legislatore ha voluto riferirsi alla generica disponibilità di opere, servizi o somme ecc. verso un gruppo omogeneo di dipendenti, anche se alcuni di questi non fruiscono di fatto delle predette “utilità””.

È stato inoltre specificato che l’espressione “categorie di dipendenti” non deve essere  intesa solo con riferimento alle categorie espressamente individuate dal codice civile (per tali intendendosi operai, dirigenti, etc.), quanto piuttosto a tutti i dipendenti di un certo tipo (quali possono essere ad esempio, tutti i dipendenti di un certo livello o di una certa qualifica, ovvero tutti gli operai del turno di notte ecc.), a condizione che tali definizioni siano sufficienti ad evitare che, in linea di principio, siano concesse elargizioni ad personam, esenti da imposte in tutto o in parte.

Da ciò ne consegue che una ipotetica misura di welfare aziendale non può essere riconosciuta solo a favore di un unico lavoratore, perchè si avrebbe come conseguenza la perdita del beneficio fiscale e contributivo a favore del soggetto che percepisce la misura: gli importi in questione, in altri termini, rientrerebbero nella base della retribuzione imponibile.

Ed è in relazione a questo specifico aspetto che i piani di welfare aziendale differiscono dai cosiddetti fringe benefit, che sono erogazioni di carattere individuale, concesse appunto a favore del singolo dipendente.

Fatta questa necessaria precisazione di carattere generale, veniamo alla individuazione dei soggetti beneficiari del welfare.

I beni e servizi di welfare aziendale possono essere utilizzati, in base alla loro tipologia da: lavoratore destinatario e suo familiare.

Chi sono i soggetti da considerarsi familiari ai fini della fruizione delle misure di welfare?

Per dare risposta al predetto interrogativo, si ritiene che possa essere preso a riferimento il disposto dell’art. 12 TUIR. Possono dunque essere considerati familiari:

  • Coniuge non legalmente ed effettivamente separato

  • I figli (ivi compresi anche i figli naturali riconosciuti, i figli adottivi e i soggetti che vengono affidati

  • I genitori o, in mancanza, gli ascendenti prossimi

  • I fratelli e le sorelle

  • Gli adottanti

  • I generi e le nuore, il suocero e la suocera

  • I partner dell’unione civile legalmente riconosciuta

Esempi concreti di welfare aziendale

Posto che l’obiettivo che l’Azienda si prefigge attraverso l’erogazione dei servizi di welfare è precipuamente quello di migliorare il cosiddetto work life balance del dipendente, aumentarne la soddisfazione e il senso di appartenenza, anche per contenere quanto più possibile il turn over, esempi tipici di misure di welfare sono rappresentati da: 

  • Sconti, promozioni, convenzioni per l’accesso a beni e servizi;

  • Servizi alla famiglia: asilo, scuola materna, libri scolastici, mutui, previdenza, istruzione, cure mediche per i familiari (ivi comprese anche tutte le forme di assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti);

  • Servizi alla persona: palestra, sport, shopping, buoni benzina, divertimento, corsi di formazione, corsi di lingue, piani assicurativi medici, biglietti cinema, feste aziendali o viaggi.

Tutti questi servizi sono in grado di soddisfare le esigenze del lavoratore, aumentare la sua soddisfazione e di conseguenza il clima lavorativo, riducendo il turn over dei dipendenti.

Quali sono le modalità pratiche di introduzione e di attuazione del welfare aziendale in azienda? 

L’Azienda può dare seguito e corso alla erogazione di servizi di welfare che possono essere previsti da:

  • disposizioni contrattuali o accordi in questo senso;

  • regolamenti aziendali;

  • attraverso attuazione volontaria.

Il riferimento normativo sul punto è rappresentato dall’art. 51, D.Lgs n. 81/2015, secondo il quale, salvo diversa previsione, proprio ai fini dello stesso D. Lgs. n. 81/2015, i contratti collettivi da prendere a riferimento sono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale e i contratti collettivi sottoscritti dalle loro rappresentanze sindacali aziendali oppure dalla rappresentanza sindacale unitaria.

Quali sono i vantaggi fiscali e contributivi per il lavoratore del welfare?

Il welfare aziendale, come si è già avuto modo di anticipare, è una misura che comporta il riconoscimento di una serie di benefici fiscali e contributivi per il lavoratore destinatario.

Nel dettaglio, dal punto di vista fiscale, le misure previste dal TUIR, alle condizioni previste dall’art. 51, commi 2 e 3, non rientrano nella base che va a costituire il reddito da lavoro dipendente (in considerazione della loro natura sociale, che consente di derogare all’applicazione del cosiddetto principio di omnicomprensività del reddito di cui al comma 1).

In relazione al profilo contributivo, l’art. 6 D.Lgs. n. 314/1997, ha stabilito, in termini generali,  l’armonizzazione tra imponibili fiscali e contributivi. In altri termini, questo significa che ciò che non costituisce reddito imponibile fiscalmente, non è reddito neanche dal punto di vista contributivo. Dunque tutto quanto viene riconosciuto e corrisposto come welfare aziendale deve essere escluso dal versamento dei contributi a carico lavoratore su tali misure (oltre che dell’azienda).

Quali sono i vantaggi fiscali per le aziende?

Secondo quanto disposto dall’art. 95, comma 1, TUIR, è possibile dedurre legittimamente dal reddito dell’impresa tutte le spese sostenute in denaro o in natura per il lavoro dipendente, ivi comprese quindi anche quelle correlate all’erogazione di prestazioni di welfare.

È stata prevista una sola eccezione sul tema. In base all’art. 100 del TUIR (relativo agli Oneri di Utilità sociale) a deducibilità dal reddito di impresa è limitata al 5 per mille delle spese per il personale dipendente con riferimento agli oneri sostenuti per opere e servizi con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, destinati alla generalità o a categorie di dipendenti e che siano state sostenute volontariamente, ossia in forza di liberalità da parte dell’Azienda.

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