In riferimento all’esecuzione della prestazione di lavoro secondo la modalità part time, il riferimento normativo è costituito dall’art. 6 del d.lgs. 81/2015, secondo il quale “il rifiuto del lavoratore di concordare una variazione dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
La disposizione appena citata è del resto in linea con il principio enunciato anche dalla normativa precedente sul part-time, e richiama il disposto dell’art. 8 secondo cui “il rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o viceversa, non costituisce giustificato motivo di licenziamento”.
Le ragioni che hanno portato il Legislatore a provvedere in questo senso rimandano, come del resto intuibile, a ragioni di tutela della posizione del lavoratore.
Ogni cambiamento dell’orario di lavoro - sia il passaggio da part-time a full time o viceversa, sia una variazione della fascia oraria del part-time - presuppone l’accordo tra le parti e, dunque, il consenso del lavoratore.
L’adesione del lavoratore deve inoltre essere spontanea e dunque non resa per il timore che intervenga la cessazione del rapporto di lavoro.
Conseguentemente, deve essere qualificato come illegittimo, il licenziamento che costituisce una ritorsione del datore di lavoro nei confronti del dipendente che non ha accettato una proposta di modifica dell’orario di lavoro.
Si è espressa anche di recente in questo senso la Corte di Cassazione con la pronuncia n. 15999 del 18.05.2022, mediante la quale ha affermato che non è possibile licenziare il lavoratore che rifiuta la trasformazione del suo rapporto da part time a tempo pieno, posto che la legge prevede – sia nel settore pubblico che in quello privato – la modifica unilaterale dell’orario di lavoro solo in favore del dipendente.
Nella vicenda oggetto di pronuncia della Corte, il dipendente aveva impugnato il licenziamento irrogato dall’Università datrice per assenza ingiustificata, conseguente alla trasformazione del suo rapporto da part time misto a full time.
Il Giudice di Secondo Grado aveva rigettato la domanda del dipendente qualificando come legittimo il recesso, anche in considerazione della legittimità del provvedimento di trasformazione del rapporto di lavoro dal tempo ridotto al tempo pieno.
La Suprema Corte ha invece riformato la pronuncia della Corte di Appello ribadendo una serie di principi che erano già stati affermati anche in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, ricordando appunto che la modifica unilaterale dell’orario di lavoro si fonda prima di tutto sul cosiddetto favor lavoratoris.
Ha così accolto il ricorso del dipendente e annullato il recesso datoriale.
Fermi restando tutti i suddetti principi di carattere generale, deve essere in ogni caso ricordato che il divieto di licenziamento per le ragioni sopra descritte deve essere interpretato con ragionevolezza e buon senso e declinato valutando gli aspetti della fattispecie concreta, caso per caso.
Infatti, poiché il datore di lavoro non può modificare unilateralmente l’orario del lavoratore, se viene meno la possibilità di utilizzare la prestazione lavorativa di quest’ultimo nella fascia oraria originariamente pattuita potrebbe essere ravvisato un motivo oggettivo di licenziamento per soppressione del posto di lavoro.
La giurisprudenza ha infatti specificato in più occasioni che il divieto di cui all’art. 8, D.Lgs. 81/2015 già citato non introduce un divieto assoluto, ma unicamente quando il licenziamento sia correlato unicamente al rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione secondo le nuove modalità e non quando tale rifiuto rimandi ad esigenze oggettive e organizzative che non consentono il mantenimento del ruolo.
E’ dunque possibile affermare che è illegittimo il licenziamento (che assume un connotato sostanzialmente disciplinare, se non ritorsivo) motivato dal fatto puro e semplice che il lavoratore non ha voluto accettare una modifica dell’orario di lavoro proposta dall’azienda.
Può invece essere considerato legittimo il licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo quando le mansioni del lavoratore, nella fascia oraria concordata, sono venute meno e - stante il suo rifiuto (di per sé legittimo) di cambiare orario - sussiste altresì l’impossibilità di occuparlo diversamente in altri ambiti dell’Azienda.
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