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In ambito giuslavoristico, accade sempre più spesso che i lavoratori dipendenti effettuino la registrazione delle riunioni o delle conversazioni con i propri referenti diretti o con il datore di lavoro, senza che questi soggetti ne siano a conoscenza, utilizzando i supporti informatici a loro disposizione.

La finalità di queste condotte è generalmente quella di costituire e di assicurarsi mezzi di prova dei quali poter eventualmente disporre in caso di futuri ipotetici contenziosi con l’Azienda.

Come noto, in estrema sintesi, ogni registrazione di conversazioni e riunioni è lecita, previa acquisizione del consenso dei soggetti interessati, laddove siano rese note:

i) l’effettuazione della registrazione;

ii) la finalità della stessa;

iii) l’eventuale periodo di conservazione e le modalità.

Queste infatti le indicazioni di carattere generale fornite dalla normativa dettata a tutela della privacy (Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”).

  • Ma quali sono le considerazioni da svolgere nel caso di registrazioni effettuate nell’ambiente di lavoro all’insaputa del datore di lavoro?
  • Possono essere ritenute lecite queste condotte?
  • Se lo sono, entro quali limiti?
  • Deve ritenersi prevalente il diritto alla difesa o quello alla riservatezza? 

La giurisprudenza maggioritaria ha il più delle volte considerato corretti i predetti comportamenti ritenendo che, nella valutazione degli interessi in gioco, dovesse essere ritenuto prevalente il diritto alla difesa giudiziale del datore di lavoro, a scapito di quello alla riservatezza della controparte, pur con delle precisazioni, relative alla pertinenza della registrazione alla tutela del diritto di difesa del lavoratore.

Una indicazione difforme sul tema è stata fornita da una recente sentenza del Tribunale di Venezia che ha offerto degli spunti di riflessione significativi (sentenza n. 2286/2021)

Il caso in oggetto

Nella vicenda oggetto dell’esame del Tribunale veneto, due dei tre convenuti in giudizio avevano prodotto, indicandoli come prove a loro favore e a danno del datore di lavoro, l’audio della registrazione di una riunione aziendale, – realizzata concretamente da un collega estraneo alla causa e dunque da un soggetto terzo – a cui i predetti lavoratori non avevano peraltro nemmeno partecipato.

In primo luogo, i giudici hanno rilevato che, ai fini della risoluzione della controversia, fosse necessario richiamare quanto disposto dal Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”), dovendosi ritenere la registrazione un “trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un archivio o destinati a figurarvi” (art. 2 del GDPR), non rientrante, pertanto, nell’eccezione di cui alla lettera c) del comma 2 dello stesso articolo, che riguarda i trattamenti di dati personali “effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico”. 

Il Considerando 18 del GDPR, specifica del resto che le attività a carattere esclusivamente personale o domestico sono quelle “senza una connessione con un’attività commerciale o professionale” e che “le attività a carattere personale o domestico potrebbero comprendere la corrispondenza e gli indirizzari, o l’uso dei social network e attività online intraprese nel quadro di tali attività”.

Queste caratteristiche non sono rinvenibili nella fattispecie in questione, come sottolineato dallo stesso Tribunale di Venezia. 

La sentenza citata si sofferma poi sulla valutazione della liceità della base giuridica per il trattamento in esame, alla luce di quanto disposto dall’articolo 21 del GDPR, secondo il quale il diritto di opposizione al trattamento dei dati personali che riguardano l’interessato non possa essere dallo stesso esercitato, qualora il titolare del trattamento “dimostri l’esistenza di motivi legittimi cogenti per procedere al trattamento che prevalgono sugli interessi, sui diritti e sulle libertà dell’interessato oppure per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”. 

Il trattamento di dati personali per finalità di accertamento e/o esercizio di un diritto è espressione del legittimo interesse del titolare del trattamento; dunque, in caso di insussistenza di detto interesse, il trattamento deve ritenersi illecito per mancanza di una delle sue basi giuridiche (art. 6, comma 1, lett. f) del GDPR).

In forza di tutti i rilievi predetti, è stata esclusa dal Tribunale di Venezia la liceità del trattamento in oggetto e questo per due motivi principali.

In primo luogo la registrazione audio era stata effettuata da un soggetto terzo, che non era titolare di una specifica esigenza difensiva, quindi di un legittimo interesse al trattamento, non essendo appunto parte del rapporto lavorativo e conseguentemente nemmeno della successiva causa. Nessuna esigenza difensiva utili poteva essere ravvisata per tale soggetto.

A ciò si aggiunga che il trattamento non poteva nemmeno considerarsi pertinente dal momento che, all’epoca della registrazione, non vi era alcun contenzioso in atto né ipotesi di pregiudizio anche solo remotamente configurabile.

Il Tribunale di Venezia ha qualificato quindi come illegittimo il trattamento de quo, fornendo anche indicazioni importanti e spunti di riflessione certamente da considerare, laddove la registrazione in questione non sia sorretta da effettive, concrete e rilevanti esigenze di difesa da parte del prestatore di lavoro.

 

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