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Definizione generale dell’istituto

Nei contratti a tempo determinato (secondo quanto previsto dall’articolo 2119 del codice civile), le parti del rapporto di lavoro, ossia da un lato il lavoratore e dall’altro il datore di lavoro, non hanno la possibilità di recedere prima del termine previsto, se non nei casi in cui si configura una giusta causa. 

Nelle ipotesi di contratto a tempo indeterminato, invece, le dimissioni possono essere rassegnate per qualsiasi ragione, che sia rappresentata anche semplicemente dalla volontà del dipendente di cessare il rapporto di lavoro (a differenza del licenziamento, rispetto al quale la legge prevede l’obbligatorietà di una causa che ne costituisca il fondamento).

La disciplina del preavviso

In termini generali, la parte che decide di recedere da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, è tenuta a riconoscere all’altra parte il preavviso, così come disposto dall’art. 2118 c.c.

Che cosa si intende con il termine preavviso? Quali sono le conseguenze applicative?

Il preavviso è il periodo di tempo determinato, previsto e quantificato nei termini e nei modi indicati dalla contrattazione collettiva o, in caso di mancanza di questa previsione, dagli usi o dall’equità, che deve intercorrere tra la comunicazione della intenzione del dipendente di rassegnare le proprie dimissioni e l’effettiva cessazione del rapporto di lavoro.

Il predetto lasso temporale ha la finalità e l’obiettivo di consentire al datore di lavoro di reperire sul mercato un’altra risorsa utile in sostituzione del dipendente che ha deciso di lasciare l’Impresa. E questo è anche il motivo per il quale i contratti collettivi abitualmente prevedono termini più elevati di preavviso tanto più duraturi quanto più rilevante è la qualificazione del lavoratore e consistente la sua anzianità di servizio.

In pendenza del periodo di preavviso, il rapporto di lavoro prosegue normalmente e, quindi, le parti sono tenute a dare regolare esecuzione alla prestazione e a dare seguito a tutti gli obblighi derivanti dal contratto. In tali casi, si utilizza l’espressione nota di  “preavviso lavorato”. 

Gli eventi sopravvenuti che si verificano in questo periodo (quali ad esempio malattia, infortunio o gravidanza) producono l’effetto di sospendere il decorso del periodo di preavviso, che riprenderà a decorrere abitualmente al momento della cessazione della causa sospensiva.

È anche possibile che venga formalizzato il recesso dal rapporto di lavoro senza che il prestatore di lavoro riconosca il periodo di preavviso ed in relazione a questa fattispecie occorre operare una distinzione, dal momento che si possono configurare due ipotesi differenti:

  • recesso ad nutum da parte del lavoratore, senza che venga invocata la sussistenza di una giusta causa e senza che venga dato alcun preavviso. In questo caso il lavoratore è tenuto a corrispondere una indennità (la cosiddetta indennità sostitutiva di preavviso) al datore di lavoro, di importo equivalente al numero dei giorni di retribuzione pari a quelli di preavviso obbligatorio. Nella prassi, questo si traduce operativamente nella facoltà, del tutto legittima, per il datore di operare una trattenuta equivalente nell'ultimo cedolino paga che compete al dipendente dimissionario;

  • recesso da parte del lavoratore fondato su una giusta causa. In tale caso viene meno l’obbligo per il prestatore di riconoscere un preavviso al datore di lavoro. Ed anzi, in questa ipotesi, sorge il diritto del lavoratore di percepire l’indennità di mancato preavviso dal datore di lavoro, in considerazione del fatto che le dimissioni vengono rassegnate per ragioni imputabili a fatto e colpa dell’Azienda e non sono riconducibili alla volontà del lavoratore. Quando dunque ricorre una ipotesi di giusta causa di dimissioni?

La giusta causa di dimissioni

Secondo quanto previsto dall’articolo 2119 c.c., con il termine giusta causa si intende ogni comportamento, condotta o fatto che non consente la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro. In altri termini, deve consistere in un fatto di gravità tale da comportare la cessazione immediata del rapporto di lavoro, dal momento che lede irrimediabilmente il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore.

Da quanto sopra evidenziato, si desume che la nozione di giusta causa è una nozione atipica, la cui sussistenza deve essere valutata dal giudice caso per caso, con riferimento alle caratteristiche peculiari della vicenda concreta.

Le contrattazioni collettive di riferimento talvolta indicano espressamente alcune ipotesi di condotte che possono integrare una giusta causa ma, a tal proposito, occorre rammentare che anche le eventuali indicazioni del contratto collettivo applicato nel caso specifico, hanno una funzione meramente esemplificativa e non valgono come elencazione tassativa.

Ciò significa che, laddove la condotta del datore di lavoro sia così grave da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto di lavoro, il comportamento potrà rilevare come giusta causa per le dimissioni, anche se l’ipotesi non è espressamente prevista e regolata dalla contrattazione collettiva di settore.

La giurisprudenza maggioritaria, che ha avuto spesso modo di soffermarsi su questa tematica, piuttosto dibattuta e di grande interesse, ritiene che possano rilevare come giusta causa di dimissioni i seguenti comportamenti/condotte del datore di lavoro:

  • mancata corresponsione della retribuzione;

  • omesso versamento dei contributi previdenziali;

  • demansionamento del lavoratore che venga riconosciuto come illegittimo;

  • sussistenza di condizioni di lavoro nocive e dannose per il dipendente;

  • mancata attribuzione al lavoratore delle mansioni per le quali questi è stato assunto o perdurante dequalificazione professionale;

  • ricorrenza di comportamenti che possano essere qualificati in termini di mobbing o straining o comunque tali da pregiudicare il sereno svolgimento dell’attività lavorativa.

La procedura di convalida delle dimissioni

Il lavoratore che rassegna le proprie dimissioni deve necessariamente osservare la procedura telematica di formalizzazione delle stesse, prevista a pena di invalidità.

In particolare, occorre che le dimissioni vengano presentate esclusivamente con modalità telematica attraverso il sito del Ministero del Lavoro ovvero attraverso la app messa a disposizione dallo stesso Ministero e devono essere trasmesse al datore di lavoro e all’ITL competente.

Sono abilitati alla trasmissione del modulo telematico per le dimissioni i seguenti soggetti: i lavoratori, i patronati, le organizzazioni sindacali, i consulenti del lavoro, le sedi territoriali dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro.

Nel termine di sette giorni dalla trasmissione del modulo telematico il lavoratore ha facoltà di revocare le dimissioni rassegnate con le medesime modalità dianzi illustrate per la formalizzazione.

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