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La Suprema Corte si è di recente pronunciata sul tema sempre spinoso e controverso del periodo di comporto, ossia dell’arco temporale durante il quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, e della sua eventuale interruzione nel caso in cui venga formulata richiesta di ferie da parte del lavoratore.

Più precisamente con la pronuncia n. 582 di data 08.01.2024, la Cassazione ha stabilito che, il periodo di comporto deve essere interrotto nel caso in cui il lavoratore faccia richiesta di usufruire di un periodo di ferie, richiesta che il datore di lavoro è tenuto ad accogliere.

La fattispecie concreta oggetto di pronuncia

Nel caso in esame, il dipendente aveva impugnato in giudizio il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, affermando che erano stati erroneamente conteggiati  anche cinque giorni di assenza nell’agosto 2016, che dovevano invece essere imputati a ferie. 

La Corte d’Appello aveva accolto la domanda del lavoratore, rilevando come il dipendente, che aveva chiesto di poter beneficiare delle ferie dopo la scadenza della malattia, non era obbligato a specificare la sua volontà di interrompere il periodo di comporto. 

In riferimento a questa specifica vicenda, la Corte di Cassazione – ritenendo corretta la pronuncia emessa in secondo grado, ha in primo luogo evidenziato che il lavoratore assente per malattia può variare il titolo dell’assenza con la richiesta di godimento delle ferie già maturate per interrompere il decorso del periodo di comporto. 

Secondo la sentenza oggetto di commento, infatti, deve essere applicato e invocato il principio di conversione delle cause di assenza dal lavoro, che consente il cambiamento del titolo dell’assenza medesima, anche la stessa perdura, in altro che abbia una diversa giustificazione. 

Da ciò ne deriva che, se viene formulata richiesta di ferie, accolta, anche solo parzialmente, prima del superamento del periodo di comporto, il datore non può computare i relativi giorni di assenza ai fini della conservazione del posto, attesa la garanzia costituzionale del diritto alle ferie e il rilevante e fondamentale interesse del dipendente a evitare, con il godimento del periodo di ferie, la possibile perdita del posto di lavoro.

Per questo motivo, la Suprema Corte ha ritenuto non fondata la domanda di riforma della sentenza avanzata dalla Società.

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