Come noto, la retribuzione costituisce il corrispettivo dell’effettiva prestazione resa dal lavoratore subordinato a favore del datore di lavoro, in dipendenza del rapporto di lavoro e in applicazione del cosiddetto principio di corrispettività.
In tema di retribuzione, uno dei riferimenti normativi principali è costituito dall’art. 36 della Costituzione, in forza del quale “ll lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi”.
Il dettato costituzionale, che fissa e sancisce il diritto alla retribuzione sufficiente, alimenta da diverso tempo il dibattito legato all’esigenza di giungere alla individuazione legislativa di un salario minimo, da tenersi distinto dalla nozione di paga base, anche se i due istituti appaiono sovrapponibili e si pongono l’obiettivo di soddisfare le medesime esigenze di tutela della posizione retributiva del lavoratore.
In che cosa la nozione di salario minimo differisce da quella di paga base, strettamente correlata al concetto di minimo tabellare?
Il salario minimo è la retribuzione di base per i lavoratori di differenti categorie, individuata da una norma di legge, in relazione ad un determinato arco di tempo.
Poiché prevista da fonte legislativa di rango primario, essa non può essere ridotta in nessun modo né da accordi collettivi né da contratti privati. Si tratta in altri termini di un limite minimo di retribuzione, al di sotto del quale per il datore di lavoro è impossibile scendere in virtù di una espressa disposizione normativa in tal senso.
Le legislazioni di altri Paesi europei, che hanno introdotto il salario minimo, ricorrono ad una serie di criteri e di parametri per la determinazione dello stesso, tra i quali rientrano:
- l’andamento generale dell’economia;
- la produttività;
- l’indice dei prezzi al consumo;
- il PIL.
L’importo individuato come salario minimo è altresì oggetto di rivalutazione periodica, al fine di assicurare che la somma in questione mantenga inalterato, col passare del tempo, il proprio potere di acquisto.
Ad oggi in Italia non è previsto per legge un salario minimo ed è appunto oggetto di confronto acceso la sua possibile introduzione.
In linea generale, nel nostro ordinamento, la retribuzione è determinata liberamente dalle parti nel rispetto di un limite che la giurisprudenza, ormai consolidata, ha individuato nei minimi tabellari fissati dalla contrattazione collettiva, in applicazione del principio costituzionale dianzi richiamato.
Il minimo tabellare rappresenta il compenso minimo riconosciuto al lavoratore dipendente in forza del contratto collettivo di categoria applicabile alla categoria e in ragione del livello o della qualifica di inquadramento del dipendente stesso. I minimi tabellari sono aggiornati con cadenza biennale e vengono riconosciuti a tutti i lavoratori ai quali viene applicato un certo CCNL aventi il medesimo livello, fatte salve alcune eccezioni.
Ad, esempio, alcuni contratti collettivi possono prevedere l’applicazione, a parità di livello, di un minimo tabellare diverso a seconda dell’anzianità di servizio. E’ inoltre possibile, in alcuni casi, che sia previsto un salario di ingresso per i lavoratori di nuova assunzione, inferiore rispetto a quello spettante ai lavoratori già in servizio presso l’azienda e ciò a parità di livello.
In assenza di una legge sul salario minimo nazionale, la determinazione della retribuzione minima è dunque totalmente affidata alla contrattazione collettiva.
E’ certamente vero che la concertazione di secondo livello introduce e fissa le regole della paga base, modulata sul minimo tabellare, ma manca tuttavia un riconoscimento di questa prassi attraverso una legge ordinaria.
Va inoltre ricordato che in Italia, non è obbligatorio per l’Impresa applicare un contratto collettivo di lavoro; l’imprenditore può non applicare nessun CCNL, ovvero individuare e redigere un contratto aziendale creato ad hoc. E’ possibile che due differenti unità produttive della medesima Azienda applichino contratti collettivi differenti.
Questa serie di considerazioni ha indotto ad una riflessione importante rispetto all’esigenza di introdurre una previsione legislativa che introduca un salario minimo anche in Italia, e ciò anche in considerazione delle indicazioni a livello europeo sul punto.
Tale strada potrebbe essere definitivamente intrapresa nel corso di questo 2022 appena avviato, posto quanto recepito e trasferito in relazione a questo tema anche nel cosiddetto PNNR del 2022, che sottolinea l’importanza della parità e dell’adeguatezza salariale.
Il tema rimane aperto e non mancheranno ulteriori interventi e aggiornamenti sul punto.
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