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Nell’area del diritto del lavoro, gli operatori del settore si trovano frequentemente ad interrogarsi sulla valenza e sulla portata della cosiddetta quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore, il più delle volte a chiusura del rapporto di lavoro intercorso con l’Azienda o comunque a definizione di una vertenza insorta con il Datore di Lavoro.

  • Ma che cosa si intende con il termine quietanza liberatoria?
  • Che valore e che valenza ha quella rilasciata dal lavoratore? 
  • Quale la reale portata dei suoi effetti?
  • Il datore di lavoro può dirsi realmente tutelato da questo strumento?

La definizione di quietanza liberatoria e il suo riferimento normativo.

Occorre in primo luogo rammentare che con il termine quietanza liberatoria si intendono tutte le dichiarazioni, abitualmente sottoscritte al momento della chiusura del rapporto, attraverso le quali il lavoratore attesta di nulla avere più a pretendere dal datore di lavoro, dal momento che ha percepito una somma a integrale e totale soddisfacimento di ogni sua altra spettanza. 

Il riferimento normativo che disciplina questa fattispecie è costituito dall’art. 2113 c.c., articolo che regolamenta espressamente il contenuto, la forma e la validità delle rinunce e delle transazioni che hanno per oggetto diritti del lavoratore e che introduce un termine di impugnazione delle stesse (di sei mesi dalla sottoscrizione), laddove queste vengano rilasciate a mezzo di scritture private non formalizzate e sottoscritte nelle sedi protette previste dalla legge a tal fine (e dunque nelle sedi giudiziarie o sindacali ai sensi degli artt. 410, 411, 412 e 412  quater c.p.c.).  

Abitualmente le predette quietanze, sottoscritte per accettazione dal lavoratore, vengono richieste dal datore di lavoro nel momento di chiusura del rapporto: l’esempio più immediato e diffuso nella prassi è costituito dalla corresponsione di una somma al lavoratore, oltre al trattamento di fine rapporto, che venga erogata a titolo di incentivazione all’esodo.

Deve essere precisato e considerato che una eventuale quietanza liberatoria con la quale il lavoratore accetti le somme dovutegli alla cessazione del rapporto, non implica automaticamente rinuncia alla impugnazione di un licenziamento illegittimo, a meno che tale rinuncia non sia formalizzata in maniera chiara ed esplicita nel testo della dichiarazione medesima.

Il valore e la portata della quietanza liberatoria, secondo le indicazioni più recenti della giurisprudenza.

Sul tema oggetto del presente contributo è di recente intervenuta la Corte di Cassazione, fornendo una serie di precisazioni e di indicazioni significative a riguardo.

Con l’ordinanza n. 22245 resa in data 04.08.2021, la Suprema Corte ha affermato che la quietanza liberatoria rilasciata dal lavoratore a saldo di ogni pretesa ha il valore di una mera dichiarazione di scienza o di opinione che, come tale, non comporta la rinuncia dello stesso a tutti i diritti di credito scaturenti dal rapporto intercorso.

La pronuncia della Suprema Corte prende l’avvio dal ricorso promosso da un lavoratore nei confronti del proprio datore di lavoro al fine di ottenere il pagamento di differenze retributive spettanti in relazione al rapporto di lavoro tra le stesse intercorso.
Anche nel caso oggetto di esame il dipendente aveva rilasciato e sottoscritto quietanza liberatoria, apparentemente rinunciando dunque ad ogni ipotetica pretesa correlata al rapporto di lavoro intercorso con la Società.

La Corte di Cassazione - nel confermare la pronuncia del Giudice di Secondo Grado – ha prima di tutto chiarito che la quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa del lavoratore deve essere in linea di massima considerata una semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell'interessato di essere soddisfatto di tutti i suoi diritti.

Per la Suprema Corte quindi essa rappresenta una dichiarazione di scienza priva di alcuna efficacia negoziale, avendo le caratteristiche di una enunciazione omnicomprensiva e dunque assimilabile alle clausole di stile che non sono di per sé sufficienti a comprovare l'effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell'interessato.

I Giudici di legittimità hanno poi effettuato una ulteriore precisazione a completamento della pronuncia: solo nell’ipotesi in cui - per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione - risulti che il lavoratore l'abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di rinunciare o transigere su propri diritti, specifici e determinati, la quietanza liberatoria può essere ritenuta a tutti gli effetti una rinuncia o un atto di transazione, con conseguente tacitazione di ogni pretesa del dipendente.

A questo fine deve però risultare inequivocabilmente accertato, sulla base dell’interpretazione della dichiarazione stessa e di ogni elemento della fattispecie concreta, che il lavoratore abbia avuto piena consapevolezza dei diritti ai quali sta rinunciando e della piena volontà di rinunciare agli stessi o di transigere rispetto a questi. 

 

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